La distillazione del Cappone ripresa da Tiziano Biasioli e Vasilisa Razdayvodina

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Marostica (Vicenza) - Ristorante al Castello Superiore 
 
La Distillazione del Cappone
 

Otello Fabris, prima del tradizionale pranzo dell'associazione Merlin Cocai, si è cimentato nella prima mondiale della Distillazione del Cappone.

All'uopo ha fatto costruire un particolare alambicco che ha retto perfettamente alla complessa operazione scaldata in "bagno Maria".

Gli ospiti, fra i quali i Frati dello Stofiss di Rovereto, hanno seguito con silenziosa attenzione e addirittura aiutato Otello durante le varie fasi del suo operato che ricordava gli alchimisti medioevali alla ricerca della pietra filosofale.

Dopo un paio d'ore un mezzo bicchierino di distillato di cappone è stato prodotto e assaggiato da alcuni tester che l'hanno definito simile all'elisir di lunga vita!

 
 

 

 

 

Volete saperne di più? Ecco la dotta dissertazione di Otello Fabris.
 

 

ACQUE STILLATE DE CAPONI GRASSI

un inquietante ed inusitato distillato sgorga dai monti di Cuccagna.


 

Ristorante Castello Superiore di Marostica, 29 gennaio 2017


 

Triperuno, il protagonista principale del Chaos folenghiano, si viene a trovare nel vortice d’una visione onirica quando arriva nelle terre di Carossa, se terre possono essere definite. Infatti


 

Fiumi di latte, laghi di falerno,

valli di macaroni e lasagnette,

ecco mi veggio intorno, e poggi ed alte

rupi di caccio duro e sodo lardo,

acque stillate de caponi grassi,

torte, tortelli, gnocchi e tagliatelle.


Ad uno che –come me- ha precedenti di moccoletto in epoca preconciliare vaticana seconda, viene in mente il Salmo con la profezia di Zaccaria che si cantava nella vigilia di Natale:

 

Ecce Dominus veniet

et erit in die illa lux magna

et stillabunt montes dulcedinem

et colles fluent lac et mel…


 

Ed ecco verrà il Signore e in quel giorno ci sarà una grande luce e i monti stilleranno dolcezza e i colli faranno fluire latte e miele”. E’ l’annuncio della venuta di Cristo, ma è un richiamo alla “terra delle 5 promesse” di Dio a Mosè, proprio quella terra fluens lac et mel a cui aspiravano gli ebrei erranti nel Sinai. Come ha avuto modo di rilevare Mario Chiesa in Teofilo Folengo tra la cella e la piazza, il poeta ama, da buon monaco, introdurre citazioni testamentarie nelle situazioni che più si distaccano da queste. E’ un vezzo abbastanza comune nel mondo dei religiosi. Qui è tanto più vero per il fatto che la composizione cela parte di un ormai famoso acrostico contro la corruzione in atto della Regola di San Benedetto. In verticale i capoversi danno la lettura di FVERAT .

L’immagine biblica viene adattata dalla phantasia plus quam fantastica del botirirovoro Merlino, nel suo ambiente più naturale, il Paese di Cuccagna. In tutto quel bendidio che forma il paesaggio di Carossa quelle “acque stillate” sono state considerate puro parto della fantasia scatenata del poeta, niente di più d’una boutade. In realtà si trattava di una precisa preparazione medico-gastronomica il cui uso illustrammo per la prima volta nel corso del XII ciclo “A tavola con Merlin Cocai”. Un Ricettario dell’Arte degli Speziali e dei Medici della Firenze del ‘500 ci rivela che il poeta non intendeva alludere a generici brodi di cappone, ma proprio ad un “distillato” di capponi. L’antico volume, conservato nella Biblioteca Civica di Bassano, descrive tutta la procedura di distillazione applicata al mitico pennuto, che gli alchimisti ritenevano già per proprio conto prossimo alla quintessenza, proprio come l’acquavite. Il cappone, grazie alle sue virtù veniva destinato alle puerpere e agli ammalati e in famiglia lo si consumava solamente a Natale. Ma per i ghiottoni era sempre Natale e, come scrissero i medici Antonio Frugoli e Castor Durante, il nome di questo pennuto così salubre e gustoso deriverebbe – come qualcuno diceva- da qua pone, metti qua!

Vediamo quindi come insegnava la farmacopea fiorentina a ottenerne, tramite la distillazione, la quintessenza delle quintessenze! La nostra fonte è nel Ricettario Fiorentino. Di nuovo illustrato (stampato a Firenze, Eredi Bernardo Giunti, 1567, ma presente in altre due edizioni, Cecconcelli, 1623 e Vangelisti, 1670). A pag. 245 troviamo un’Aggiunta di alcuni restaurativi. Nuovamente stampati.

 

Stillato di cappone magistrale.

R. Capponi bene nutriti & grassi nu.ij.

Cuocine uno tanto che sia disfatto a modo di consumato, spremilo forte, e serbane il brodo. Di poi piglia l’altro cappone, e dagli un sol bollore tanto che egli intirizzi: squartalo, e battilo, metti nel fondo della campana due, o tre manipoli di borrana, sopra alla quale metti un suolo di fette di pane buffetto, o d’altro pane bianco, e leggiero, che habbi bene inzuppato tutto il brodo del primo, e sopra il pane mettivi il secondo cappone e destilla. Questa destillazione debbe essere fatta per stufa secca come si è detto nel modo di distillare, o almeno per campana fatta di terra bene invetriata…

L’Aggiunta illustra anche uno stillato di chiocciole magistrale. Dopo un’abbondante lavatura le chiocciole vanno gettate in acqua bollente. Poi devono essere tolte dal guscio, ripulite dalla parte finale e lavate prima con aceto e poi con vino bianco. La distillazione avviene con l’impiego della sola borraggine, senza pane.

L’appendice termina con un Consumato di pollo che prevede l’impiego della pentola sigillata. La carne, come insegna anche Scappi per la medesima preparazione, va sospesa sul vuoto legandola a cordicine, fissate sul bordo della pentola prima di sigillarla. Il distillato si raccoglie sul fondo.

Questa tecnica, ovviamente, trovava il più opportuno ambiente di esecuzione in cucina. Non per niente ne troviamo riscontro nell’ Opera del cuoco privato di San Pio V papa, Bartolomeo Scappi, il quale ne riporta varie ricette nel suo Sesto Libro, dei convalescenti. Egli ne ricorda due, in particolare, per averle usate per curare Ridolfo Pio, famoso cardinale di Carpi, morto nel 1560 (nel 1535 il cardinale aveva trattato per la pace tra Francesco I di Francia e Carlo V) e nientemeno che “l’Illustrissimo, & Reverendissimo Cardinale Pietro Bembo, Venetiano”, la figura di primissimo piano nella storia della letteratura italiana che ormai ben conosciamo.

Nel capitolo ventunesimo le istruzioni Per fare un Consumato a Lambicco prevedono l’uso di un vero e proprio apparecchio di distillazione di vetro, entro cui si mette la polpa di capponi tagliata a fettine e privata dalla pelle a strati alternati a fettine di limone spellate, il relativo sugo, e a foglie d’oro macinate. Si possono aggiungere foglie di acetosa, erba selvatica nota per le sue proprietà aperitive e digestive, oppure anche “diverse altre cose, secondo che il Phisico ordinerà”. Come si vede, c’è un accordo tra medicina e cucina che il nostro tempo sta con moltissima difficoltà cercando di recuperare. Ci sono, nell’orto e dintorni, rimedi efficacissimi quanto gradevoli da usare -privi di controindicazioni e di “bugiardini”- che è bene tenere in considerazione.

accomodati che saranno li petti, et le polpe nella boccia, essa boccia si accomoderà sopra il buco della caldara…et non habbia altro che una cannella per respiro, et sia a foggia di bottiglia d’acqua…sarà coperta la boccia del suo coperchio pur di vetro grosso, et sigillata intorno con pezzoline bagnate con chiare d’ova battute et con la farina in modo che non possa sfiatare. Il pizzo della boccietta, cioè coperchio di sopra, donde ha da uscire il liquore, risponderà nel collo d’un caraffone, il qual sarà circondato con pezzoline, che non possa sfiatare, e tal materia non durerà meno di quattro hore a lambiccarsi…

Scappi scrive che la distillazione dura quattro ore, rimanendo nella cucurbita di vetro “un consumato che affermano i Fisici essere di gran sustanza, e si dimanda consumato fatto a Bagno Maria”. Questa tecnica, che i medici fiorentini chiamano “a umido”, per la verità, non viene da loro consigliata, preferendo la distillazione diretta, detta “a secco”.

Il succo che rimane, scrive Scappi, può essere usato anche per realizzare una sorta di zabaione sbattendolo con rossi d’uova “et darlo a bere a chi n’haverà bisogno”. Noi l’abbiamo usato per la salsa di accompagnamento al cappone.

I distillati di questo tipo non si facevano solo con questi volatili, ma anche, secondo Scappi, “di starne, di faggiani, di galline d’India morte in quel giorno, ed anche di vitella morta in quel giorno”.

Il distillato di capponi non era perciò solo quell’estrema ricercatezza gastronomica gocciolante dai monti di Carossa, ma ad esso venivano riconosciute capacità terapeutiche di vario genere, ricordate anche dal celeberrimo medico bolognese Ulisse Aldrovandi (1522 - 1605), che scrisse della sua meravigliosa capacità di recuperare la salute bevendone anche un solo cucchiaino. Folengo, notoriamente esperto anche di alchimia, probabilmente conosceva queste straordinarie proprietà: il benessere collegato al distillato è coerente al benessere corporeo che il Paese di Carossa rappresenta.

Queste preparazioni sono registrate anche nelle successive edizioni del Ricettario fiorentino, che anzi, nella prima edizione seicentesca inserisce la ricetta per distillare un Elixir (El Iksir, la sostanza) che oggi può suscitare ilarità in chi ha le nozioni più elementari di chimica. Diamanti, smeraldi, rubini, perle, coralli tritati in mortai di granito, solubilizzati con sostanze acide, vengono aggiunti ad una lunghissima lista di erbe e infine distillati.

Mi sia concessa un'altra nota folenghiana, per sottolineare la sua conoscenza diretta di queste cose. Il diamante tritato lo cita nel libro primo del Baldus quando dice sarcasticamente che il mestiere del papa espone al pericolo di essere fatto morire con l'impiego del diamante tritato, che al contrario dei veleni non lascia traccia visibile.

Queste distillazioni sono scomparse dalla farmacopea da tempo considerevole, ma sono rimaste mimetizzate in un uso caratteristico quanto raro della cucina vicentina. Non in quella degli ambiti ricchi o curiali, ma forse fuoriuscendo da questi venne trasportato e adattato alle cucine di fattorie di certe famiglie rurali benestanti. Ne conservo io stesso memoria, in quanto mi venne proposto -allora, schizzinoso adolescente- di goderne, pur senza ottenere la mia partecipazione.

Mi sono fatto l’idea che qualche fratacchione degli innumerevoli conventi del territorio che avevano a che fare con la farmacia del chiostro ne avessero portato il principio in qualche fattoria, dove non avendo a disposizione i vetri adeguati può essere venuta in mente la sostituzione delle costosissime cucurbite di vetro con una vescica di maiale. Il principio su cui si basa la preparazione è identico; si tratta di cuocere la carne di cappone a bagnomaria, in assenza di liquidi, dopo averla introdotta nella vescica con le erbe del caso, pepe ed altre spezie. La vescica poi viene legata attorno a un tubulo ricavato da una canna di bambù. Per questo motivo la preparazione è nota con il nome di capon a la canevera. E' chiaro che questa preparazione era possibile ben poche volte. Una famiglia di maiali ne possedeva uno, due, mettiamo tre, e le vesciche erano altrettante.

La cottura avviene a bagnomaria, dopo aver legato la cannula con uno spago ad un mestolo o al manico della pentola. La polpa è un gran boccone. Il poco liquido che rimane nella vescica veniva utilizzato per gli eventuali ammalati della famiglia, mentre operando in questo modo non è possibile condensare i vapori di cottura.

Questo bizzarro impianto fai-da-te sembra rispondere ad un pensiero espresso da Giacomo Castelvetro nobile italiano esule a Londra per motivi di persecuzioni religiose. Egli lasciò manoscritto (Londra, 1614) un Brieve racconto di tutte le radici di tutte l'erbe e di tutti i frutti che crudi o cotti in Italia si mangiano dove, parlando del luppolo, dice che associandolo alla borragine, alla fumaria, alla cicoria e alla lattuga di ottiene un farmaco

...sovrano a rinfrescare e a purificare il sangue (agli) uomini che non vogliono per ogni leggier cagione molestare il medico, né saziar gli 'ngordi speziali, e pur è a loro cuore la salute de' corpi loro...

Oggi questa preparazione si può imitare in qualche modo –ma non c’è confronto che possa reggere sui risultati- utilizzando sacchetti di una plastica che resiste oltre i 100° invece della vescica di maiale. Il liquido che si forma è in quantità molto maggiore. Ai fini della storia delle nostre attività, questa è la quinta volta che proponiamo questa esperienza: una prima volta con Guerrino Maculan al monastero di Campese; poi, sempre a Campese da Trevisani, con una replica per la trasmissione tv condotta da Stefano Contiero; al Pioppeto di Sergio Dussin, che essendo ormai in piazza stabile in Vaticano potrebbe riproporre la specialità per gli imbarazzi del papa, come faceva Bartolomeo Scappi mezzo millennio fa.

 
 

 

 
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